Legiferare è forse il più complesso dei mestieri. Padroneggiare l’arte del compromesso è una dote irrinunciabile per chiunque scriva leggi che nel suo operare è costretto ad ascoltare molteplici voci, smussare spigoli e scontentare qualcuno, talvolta per scelta, talvolta per competenza imperfetta. Non possiamo certo pretendere che chi legifera in un certo campo, spesso lontano dalle sue conoscenze, ne sia un infallibile esperto.Tuttavia, e conseguentemente, possiamo, anzi dobbiamo pretendere che costui presti orecchio a coloro che in quel campo sono effettivamente esperti.
E’ la prima volta che entro al palazzo della Camera dei Deputati. Gli uomini e le donne che vi prestano servizio, gentili ma fermi. I severi busti di marmo, le scale dai gradini troppo bassi e troppo lunghi, i soffitti alti e decorati. Io di mestiere sviluppo videogiochi. Ogni tanto mi capita anche di parlarne, ma in sedi ben diverse, ben lontane da questa. Oggi invece, proprio qui, si parla di videogiochi.
Poco spazio al confronto, data la ristrettezza dei tempi e la vastità del tema, ma ciascuno dei relatori porta avanti la propria agenda e ne scaturisce un interessante coro di voci che tocca una grande varietà di temi. Lo stato dell’industria e del mercato in Italia, le conseguenze neurologiche dell’abuso di videogames, il sistema di classificazione europeo, l’impatto della violenza e le ricerche in questo campo. Voci esperte, competenti.
Aperto il terzo e ultimo tavolo di confronto, quello che vede salire in cattedra gli onorevoli rappresentanti della Commissione Cultura, tutto ciò che di buono è emerso dalla conversazione viene messo a confronto con la realtà dei fatti, ossia che la percezione pubblica del videogame ritrae ancora un artefatto imperscrutabile, pericoloso, e in quanto tale, da normare. E’ in discussione una proposta di legge volta a disciplinare l’accesso del pubblico ai videogames dai contenuti controversi, e diviene lampante che questo è l’unico vero pensiero di questa commissione. I confronti sul mercato, sull’industria, sull’educazione, erano un mero aperitivo. Non verrà fatto nulla in proposito.
Il primo sopracciglio si alza all’intervento dell’onorevole D’Uva. “Non possiamo parlare dei videogames come un rischio”, dice. Strano, perché oggi qui nessuno l’ha fatto, penso. Ma D’Uva conosce questa commissione meglio di me. È un avvertimento, il suo. Una premonizione delle cose a venire.
E’ l’onorevole Molea, cofirmatario della legge in discussione, a scagliare la prima pietra. Con nonchalance, quasi involontariamente. Sta parlando di come gli utenti meno difesi, bambini e adolescenti, debbano essere protetti da contenuti videoludici non adatti a loro. L’intento è lodevole. Va sottolineato come il sistema di rating europeo PEGI sia nato esattamente a questo scopo, supportato dalla game industry che propose un’autoregolamentazione anticipando i governi di mezza Europa. E’ un’espressione a lasciarmi perplesso: Molea parla di contenuto “pericoloso”. Questa parola risuona pesante mentre la annoto.
Il professor Goldstein dell’università di Utrecht, PhD in psicologia e ludologo, non più tardi di mezz’ora prima, ha chiaramente illustrato come non esista una dimostrazione di causalità tra fruizione dei videogames e comportamenti violenti o disturbi legati all’aggressività. Ha parlato di come il gioco sia slegato dalle conseguenze comportamentali, sfiorando discorsi importanti che richiamano Huizinga e Sicart, dal gioco come fondazione della civiltà alla banalità del male simulato. Eppure lì c’è il legislatore Molea, che parla di come sia un dovere istituzionale proteggere i più piccoli da possibili “devianze”. Anche questa è una parola sua.
(Per il mio ultimo videogame, il mio studio ha ricevuto un PEGI 7. Significa che per i bambini da 1 a 6 anni, il nostro gioco è pericoloso? Deviante? No. Nemmeno se avesse ricevuto un PEGI 18 e fosse la più invereconda rappresentazione di brutalità videoludica contemporanea potremmo affermare inequivocabilmente il contrario. Perché non esiste una causalità dimostrabile).
Eppure, a lasciare il segno più profondo sembra sia stato l’intervento del dottor Gallimberti, con le sue ammonizioni neurologiche che si possono riassumere in “occorre moderazione e controllo genitoriale, soprattutto nei confronti degli utenti più piccoli”. Ammonimenti che rimbombano nell’auditorium del preconcetto.
Tocca poi all’onorevole Santerini. Il suo intervento è una manifestazione delle più comuni paure verso il videogame, appena velata da qualche apertura progressista qua e là. Appare chiaro come il legame tra contenuti videoludici violenti e aggressività sia ben saldo nella sua mente, al contrario di ciò che conclude la letteratura sull’argomento, illustrato non più di mezz’ora prima. Nel suo discorso trovano posto una serie di epiteti che siederebbero comodi in una conversazione tra le madri spaventate di due ragazzini dodicenni sorpresi a giocare a GTA. Giochi traboccanti di “effetti horror speciali”, giochi che distruggono l’empatia, che ci rendono una società nevrotica. Non possono mancare accenni al massacro di Columbine e ad Anders Breivik, tra i più clamorosi episodi di scapegoating ingiustificato del videogioco e sensazionalismo mediatico. Mi tornano alla mente discussioni con persone confuse e spaventate dagli effetti potenzialmente calamitosi di un idolo maledetto, misterioso: conversazioni del tipo “mio figlio gioca ai giochi violenti”. Ma sta parlando un legislatore. Non riesco a credere alle mie orecchie.
Un onorevole dal pubblico chiede la parola. Non pone una vera e propria domanda, ma esprime una posizione critica nei confronti della legge e in particolare del peso delle sanzioni, proponendo come vaga alternativa il porre l’accento sull’educazione dei genitori. Lodevole l’intento, poca sostanza, l’intervento non impressiona. I visi, le paure dei membri della commissione cultura non si smuovono.
I muri, le sanzioni, i vincoli, le normative, trasmettono più sicurezza.
Il mio feed di facebook inizia a popolarsi dei commenti indignati di altri sviluppatori che stanno assistendo alla diretta streaming, spinti dalla pochezza e il qualunquismo della conversazione. I miei colleghi fanno piovere commenti sulla chat aziendale, tra l’ironico e l’arrabbiato. Esperti nel campo, tutti loro.
L’incontro si conclude. Non consolano le parole progressiste e rassicuranti spese dagli onorevoli Capua e Rampi. Ho un sapore amaro in bocca.
Oggi abbiamo parlato di videogiochi, penso uscendo di corsa per non perdere il treno. Peccato che chi dovrà legiferare a riguardo non sia stato a sentire.
Giuseppe Enrico Franchi,
34BigThings
PS: il video dell’intero intervento é visionabile qui: http://webtv.camera.it/evento/8393